Immigrazione tra sgomberi, proteste ed integrazione. Zinnanti: "E' ora di mettersi a scalare la montagna"
| Redazione sport | Commento del giorno
IMMIGRAZIONE TRA SGOMBERI E PROTESTE: MA E' POSSIBILE UNA TERZA VIA?
Torniamo, ancora una volta, sul tema immigrazione perché recenti fatti di cronaca confermano l'assoluta centralità di questa problematica sia in termini di sicurezza e vivibilità delle periferie cittadine, sia come seria prospettiva di "buona immigrazione" per rispondere alle crescenti necessità del mondo del lavoro.
Circa il primo aspetto, evidenziamo l'ennesimo sgombero, lo scorso 20 novembre, di 180 migranti che, accampati in situazioni del tutto precarie negli hangar di Porto Vecchio (ancora una volta in assenza di qualunque minima struttura di accoglienza da parte delle istituzioni a ciò deputate), sono stati visitati, assistiti, ripuliti, sottoposti al controllo dei documenti che ne hanno certificato lo status di richiedenti asilo, fatti salire sui pullman e portati fuori regione. Se questa operazione ha meritato le lodi del presidente della Regione Fedriga che ha parlato espressamente di un atto "di legalità, fondamentale in quanto segnale a chi pensa di poter arrivare illegalmente sul territorio, perché le istituzioni non lo permettono", di segnale completamente opposto il commento delle associazioni umanitarie "l'operazione non è stata altro che l'ennesima dimostrazione di una gestione straordinariamente carente". Segue anche la motivata spiegazione di questa decisa presa di posizione:" le norme sono state disattese..Se i richiedenti asilo avessero avuto accesso a un sistema di prima accoglienza, con successiva ridistribuzione sul territorio nazionale, l'indecoroso abbandono in Porto Vecchio non si sarebbe verificato. A questo si somma la mancata attuazione degli interventi pianificati come l'incremento dei trasferimenti e l'ampliamento dell'ex Ostello di Campo Sacro (tuttora a metà capienza NdR)..il rischio è che in poche settimane si ripresentino gli stessi fenomeni di abbandono".
Facile profezia, quella delle associazioni umanitarie, in quanto, come fedelmente riportato dalla cronaca cittadina, sono passati pochi giorni e "gli spettri umani" sono ricomparsi in Porto Vecchio, alla mercé dei piccoli capetti che si sono autoproclamati responsabili della gestione di chi entra e di chi esce in cambio di denaro o altri favori. Insomma, il brodo di coltura di degrado, abbandono e atti criminogeni continua imperterrito a prosperare a fronte di istituzioni assenti, latitanti e che agiscono solo per motivi contingenti con grande dispendio di energie, senza mai provare ad affrontare questa emergenza con sistemi più umani, dignitosi e con la finalità di far entrare il prima possibile queste persone in un circuito di legalità e di integrazione. Siamo perfettamente consapevoli che le nostre potrebbero apparire solo parole utopistiche e prive di realismo, ma, per quanto abbiamo sinora visto, non è con gli sgomberi a scadenza che si risolve il problema. Al massimo lo si sposta da un'altra parte, con tutte le intuibili conseguenze del caso. Posto che nessuno possiede la bacchetta magica e che il fenomeno è complesso e presenta innumerevoli sfaccettature, va detto che anche nella nostra regione possiamo parlare di esempi virtuosi e di percorsi di integrazione che paiono avere tutte le caratteristiche per dimostrare con i fatti che un'altra immigrazione ed un percorso di integrazione sono possibili. Di che cosa stiamo parlando? Dell'aggiornamento della best practice "Fincantieri-Ghana".
DAL PROGETTO ALLE PRIME ASSUNZIONI: ECCO COME SI FA VERA FORMAZIONE ED INTEGRAZIONE
Del bel progetto di immigrazione "regolare" posto in essere da Confindustria Alto Adriatico, ne abbiamo parlato qualche tempo fa. Ora quel progetto è già passato dalla fase preparatoria e di selezione (condotta direttamente dall'Academy, realizzata all'interno del Don Bosco Training Institute Salesiano ad Ashaiman in Ghana), allo step attuativo: una quindicina di operai sono già al lavoro in Fincantieri a Monfalcone, come saldatori addetti al montaggio di condotte. Altri 15 hanno già completato la formazione professionale in Ghana e, completate le ultime formalità, inizieranno a breve a lavorare in una Cooperativa di carpenteria udinese e in una grossa azienda metalmeccanica pordenonese. Insomma, il progetto sembra funzionare e ciò avviene proprio sulla base di alcune precise caratteristiche: chi accetta di venir formato lo fa con la garanzia di un contratto di lavoro e di un alloggio. Non solo, già in Africa riceve una preparazione linguistica in italiano, certificata di livello A 1, come avviene nell'università per stranieri di Siena. Nei prossimi mesi arriveranno in Italia tutti e duecento i giovani ghanesi che si sono candidati con sbocco nelle aziende del distretto mobile-arredo nel pordenonese e nel trevigiano. L'idea piace non solo ai massimi livelli istituzionali (come dimenticare la presenza del presidente Mattarella all'inaugurazione dell'Academy), ma soprattutto a Confindustria nazionale che ha assunto il modello Alto Adriatico quale esempio di riferimento per ogni ulteriore iniziativa di formazione verso lavoratori extracomunitari. Che l'aria sia cambiata proprio sotto la spinta del mondo delle imprese, lo conferma l'entusiasmo e l'interesse sin qui dimostrato dal presidente confindustriale Orsini che ha indicato questo progetto come risposta da dare alle esigenze di manodopera dell'intero Sistema Paese.
E come sta andando l'esperienza dei primi 15 ghanesi in Fincantieri? Si tratta di giovani che, dopo aver seguito all'Academy un corso di formazione di 212 ore sulle tecniche di allestimento navale, una volta arrivati a Monfalcone hanno frequentato un ulteriore corso di affinamento di 200 ore con il conseguimento, quindi, di un livello di preparazione (anche linguistica) di tutto rispetto. Proprio per tale motivo è lo stesso AD di Fincantieri Folgiero a parlare di "laboratorio per il sistema delle imprese che deve contrastare il crollo demografico e la carenza di manodopera". I giovani del Ghana si trovano a fianco di operai provenienti dal Bangladesh, dalla Romania, dalla Croazia e dall'Ecuador. Un melting pot che già in passato ha causato notevoli problemi di convivenza. Di queste criticità è perfettamente consapevole Agrusti (presidente di Confindustria Alto Adriatico) che così afferma:"Monfalcone è un laboratorio sociale con criticità che andrebbero gestite. In Friuli con le comunità ghanesi abbiamo creato un tessuto di supporto con un lavoro molto meticoloso". Come a dire (e a ribadire) che a determinate e non semplici condizioni l'immigrazione cessa di essere solo un problema ma può diventare occasione di sviluppo per un'intera comunità.
Ad indicare la strada con particolare riferimento all'immigrazione di provenienza islamica soccorrono le acute riflessioni dello scrittore iraniano-olandese Kader Abdolah che concentra la propria attenzione proprio sull'immigrazione musulmana, fonte e origine di ogni problema connesso alla mancata integrazione con la civiltà occidentale. Sentiamo le sue parole:"l'immigrazione vuol dire perdere parte della tua identità e riceverne una nuova. Non è la prima volta che gli esseri umani si spostano, è sempre accaduto. Solo che oggi gli europei non vedono i migranti come persone, ma come musulmani: è questo il problema, non la migrazione. Chi arriva in Europa, però, impara un nuovo modo di vivere. All'inizio è difficile, ma le prossime generazioni saranno europee". Chiaro il suo pensiero anche sul fondamentalismo: " tra qualche anno i fondamentalisti non saranno in grado di armarsi e attaccare la civiltà europea. Dobbiamo trovare un modo di fermarli, arrestarli e metterli in prigione. Credo che fra 5 o 10 anni non sentiremo più parlare di loro". Questo il suo parere sul processo di integrazione:"la cultura e la lingua italiane entrano nell'anima di chi arriva e si fondono con le sue credenze religiose: ciò che ne deriverà sarà un Islam italiano, necessariamente diverso da quello saudita o iraniano". Chiude Abdolah le sue riflessioni con una parola di forte speranza nel cammino di una piena integrazione: "è importante che gli immigrati imparino la nuova lingua non in 5 anni ma in tre mesi: è il modo migliore per ridurre la paura. Se io posso dire chi sono, se posso creare una connessione con l'altro, i timori si sconfiggono più facilmente. Io vedo i migranti come ondate di oro che giungono in Europa. Sono persone che arrivano per cambiare innanzitutto se stesse e poi, col passare degli anni, la società. Ognuna ha un tesoro, ma non sa quale sia . Individuarlo è dovere loro, ma anche degli europei".
A mio sommesso avviso, sono pensieri lucidi ed in alcuni tratti davvero illuminanti, che provengono per di più da un rifugiato politico che vive da anni nei Paesi Bassi e scrive le sue opere in olandese. Certo comprendiamo benissimo come non sia facile né immediato "alzare lo sguardo" e cercare di qui in poi di porre essere politiche di vera integrazione e di gestione dei flussi di immigrati. Del resto che questa sia la via maestra, lo possiamo dedurre guardando ad un altro fenomeno che interessa questa volta le nostre università. Qui, secondo recenti statistiche, il grado di attrattività dei nostri atenei è pari all'uno per cento dei circa sette milioni di giovani che studiano in paesi diversi da quelli di origine, con un saldo negativo tra entrate ed uscite. Non solo. Di questo uno per cento, solo il 15 % si ferma a lavorare in Italia, una volta terminato il ciclo di studi, contro il 65 % ad esempio di chi si forma negli atenei tedeschi. Questa bassissima percentuale (che si accompagna all'altro drammatico fenomeno della fuga all'estero dei migliori cervelli italiani) si spiega banalmente con le pochissime risorse statali messe ogni anno per questa finalità: 45 milioni di euro contro 1,8 miliardi di euro stanziati dalla Germania o il miliardo di euro della Francia. Cifre non comparabili tra loro e che valgono più di qualsiasi altra considerazione. E sono proprio queste basse cifre a motivare la più frequenti richieste che, se soddisfatte, potrebbero incrementare la misera percentuale di studenti stranieri in Italia, in particolare se provenienti da paesi in via di sviluppo: servizi abitativi, efficienza sui visti di ingresso ed adeguate borse di studio della cooperazione internazionale. Sono richieste assolutamente ragionevoli e che, nel nostro piccolo a livello regionale stiamo iniziando a soddisfare, nella consapevolezza che "una strategia di apertura, di accoglienza e integrazione attraverso l'istruzione superiore e percorsi di inserimento lavorativo costituisce un investimento sul proprio futuro".
Il pensiero non è nostro ma di altri autorevoli commentatori anche se lo condividiamo appieno: è ora di darci una mossa. Sia dal basso aprendo ad una immigrazione controllata e mirata per quelle posizioni lavorative che i nostri ragazzi non vogliono più ricoprire, che dall'alto, favorendo l'apporto e l'inserimento nei nostri atenei e nei nostri master di giovani stranieri e creando le condizioni per un loro inserimento lavorativo adeguato alle competenze acquisite. Il compito non è facile, ma è ora di "mettersi a scalare la montagna", se non vogliamo, come sistema paese, andare incontro ad un rapido declino.
Mauro Zinnanti
Parole chiave: Primo piano, Trieste