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Gli occhi della guerra di Biloslavo e Micalessin, Zinnanti: "L'esperienza sul campo porta ad abbracciare la via della pace"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno
GLI OCCHI DELLA GUERRA: DA BILOSLAVO E MICALESSIN UNA LEZIONE DI VERO GIORNALISMO
 
Sarò sincero. Quello che sto per raccontarvi probabilmente non piacerà ad alcuni dei miei più affezionati lettori però, come sempre del resto, viene dallo spirito sincero di un'anima pulita e libera, che si esprime senza condizionamenti di sorta (NdR: grazie Alex, che lo permetti ogni settimana) e che quel che vede e legge ve lo ripropone in una versione critica e foriera, si spera, di ulteriori riflessioni al riguardo.
Tutta questa "tiritera" per raccontarvi che la scorsa settimana sono andato al Politeama Rossetti ad assistere allo spettacolo "Gli occhi della guerra", sorta di recital con filmati originali provenienti dai più diversi fronti bellici, che la premiata ditta Biloslavo-Micalessin ha voluto proporre al pubblico triestino, quale summa di più di quarant'anni di onorata carriera giornalistica dell'Agenzia Albatross.
A tenere le fila delle varie spedizioni (alcune invero impressionanti per le scene in presa diretta e senza alcun filtro), oltre ai giornalisti Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, anche gli attori Francesco Migliaccio e Adriano Giraldi. Nelle prime scene di guerra è presente anche Almerigo Grilz, il terzo socio fondatore dell'Agenzia e che, come noto, muore sul campo in Mozambico nel maggio del 1987. Dei tre è proprio Grilz quello dal passato politico più "effervescente", prima nelle fila del Fronte della Gioventù e poi quale consigliere comunale del Movimento Sociale Italiano, oltreché protagonista negli anni 70' e fino a metà anni '80 (cioè fino a quando decide di lasciare la politica e di dedicarsi solo al giornalismo quale corrispondente di guerra) di una serie pressoché continua di episodi violenti, di provocazioni (verbali e fisiche) non solo verso gli avversari politici, ma anche nei confronti degli esponenti della minoranza slovena. Insomma, una "testa calda" della destra triestina che imperversava in Viale XX settembre con un curriculum tra i più noti della questura giuliana. Dunque, sulla matrice politica di Albatross non vi può essere dubbio alcuno. Ma sull'assoluta genuinità del loro lavoro giornalistico effettuato, come detto e visto, sul campo e senza filtri di nessun tipo, egualmente non vi può essere alcun dubbio. A questo proposito, mi trovano perfettamente concordi le parole usate di recente da Fausto Biloslavo in occasione della seconda edizione del Premio giornalistico intitolato proprio ad Almerigo Grilz:"Vogliamo ricordare la seconda vita di Grilz. Nessuno smentisce la sua prima vita politica. Il presupposto, per un giornalista, è andare sul posto per conoscere i fatti, verificarli. E' l'essenza del nostro lavoro e della democrazia".  Direi che da modesto cultore della carta stampata, quale mi onoro di essere, non ho nulla da aggiungere a queste chiarissime parole che dovrebbero, una volta per tutte, mettere fine alle tante polemiche che tuttora accompagnano quel nome e ogni iniziativa a lui riferita.  Del resto, tornando allo spettacolo teatrale, ho avuto la prova concreta che le affermazioni di Biloslavo non sono vuote dichiarazioni di principio, ma concreta prassi nei contesti più drammatici e pericolosi. Pericolosi sì, in quanto il giornalista triestino non ha mancato di ricordare due episodi della sua vicenda giornalistica in cui ha rischiato davvero di rimetterci la pelle. La prima risale al 1987 in Afghanistan  quando, nel contesto dell'intervento militare sovietico, viene arrestato dalle truppe filogovernative, dopo un lungo reportage con i mujaheddin, e assaggia la prigione di Kabul per sette lunghi mesi, senza cedere alle pressanti richieste di confessare ai suoi aguzzini le sue presunte colpe.  Nel gennaio 1989, sempre a Kabul, Biloslavo, mentre segue il ritiro delle truppe russe dall'Afghanistan, viene investito da un camion sovietico: sopravvive per miracolo e resta a lungo bloccato in ospedale. Anche questa è un'esperienza che lo toccherà profondamente ma che non intaccherà la sua passione (tuttora viva)  per questo mestiere e per raccontare dal vivo unicamente le cose viste e i racconti ricevuti in diretta dai protagonisti dei vari episodi di cronaca di guerra.  Perfettamente allineato a questo modo di intendere il mestiere di giornalista è l'operato di Gian Micalessin.  Delle molteplici vicende che l'hanno visto protagonista me ne sono rimaste impresse due. La prima riguarda i giorni caldi della caduta di Ceausescu in Romania. Sui media di tutta Europa erano apparse notizie di fosse comuni alimentate dalle vittime delle spie del leader rumeno. Micalessin, da ottimo giornalista di frontiera, decide di andare a vedere di persona e si reca a Timisoara. Chiede notizie alla popolazione locale e si fa portare sul luogo della presunta fossa comune. Sorpresa: nella fossa ci sono i cadaveri di una ventina di poveri cristi lì sepolti perché non avevano i soldi per un funerale ed una bara dignitosa!!  Ci sono i filmati di quanto riportato e lo sconcerto è davvero grande. Ma, come riporta Micalessin, una cosa è fare l'inviato di guerra stando seduti a trecento chilometri di distanza, un'altra è andare a sincerarsi di  persona come stanno le cose. Il secondo caso è di stretta attualità. Sempre secondo il mainstreaming in voga nei media occidentali, nelle città del Donbass occupate/liberate dopo l'operazione speciale  avviata dai russi il 24 febbraio 2022 la situazione sarebbe drammatica con edifici distrutti, regime di polizia e gente comune costretta a vivere segregata. Ebbene, anche in questo caso, Micalessin riesce, con mille stratagemmi, a passare dall'altra parte, ovvero nel territorio liberato/occupato dalle truppe russe. La sorpresa è notevole. Nei centri a maggioranza russofona la vita scorre assolutamente tranquilla, con le case che non mostrano i segni della guerra e la popolazione civile occupata nelle faccende di ogni giorno.  Un quadro quasi idilliaco e che certamente non sembra reclamare alcun ritorno del controllo ucraino su quelle aree. 
Dunque, che dire?  Senza disconoscere il pensiero ideologico che è stata la prima molla che ha spinto Almerigo, Fausto e Gian sulla strada, impervia, del giornalismo di guerra, non si può non riconoscere che proprio l'esperienza sul campo, che ha visto il primo ucciso in Mozambico (e alla cui memoria si sono di recente inchinati entrambe le fazioni allora in guerra!) e gli altri due sempre in prima linea, ha portato proprio questi "occhi della guerra" ad abbracciare convintamente la via della pace. Infatti, per dirla con le parole di papa Francesco riportate da Biloslavo in chiusura dell'istruttiva serata:"La guerra è un inganno, la guerra è sempre una sconfitta!"
Ecco allora che acquista un significato molto profondo la riflessione che si lascia scappare sempre Biloslavo di ritorno a Trieste dall'ennesima missione su un fronte caldo ovvero di quanto noi italiani dobbiamo ritenerci terribilmente fortunati a vivere in pace e questo non lo dovremmo mai dimenticare o dare per scontato.
Confidiamo che questi pensieri di pace, fatti propri anche dal nuovo papa Leone XIV, facciano finalmente breccia anche nei cuori dei potenti del mondo che continuano a scannarsi sulla pelle della povera gente in Ucraina come a Gaza, in Sudan come nel Kashmir.
 
Mauro Zinnanti
Parole chiave: Trieste