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"Se piovessero stelle su questo deserto": storie di bambini, migranti, naufraghi e politiche di, negata, accoglienza

 |  Emme Zeta  |  Commento del giorno

E’ inutile girarci tanto intorno : l’argomento è di quelli “caldi”, sensibili che toccano nel profondo i sentimenti della gente e finiscono, nella quasi totale assenza di  una vera e sana politica di integrazione, per determinare la reazione indignata di persone “normali” che vedono le periferie delle proprie città sempre più degradate e pericolose. Tentiamo, però, anche su questo delicato tema, di fare un po’ d’ordine e, soprattutto, di ipotizzare una risposta complessiva ad un fenomeno che, volenti o nolenti,  ci riguarderà tutti nel presente e nel futuro.

Anche per dare un tocco “culturale”, partiamo dal titolo di questo pezzo che è il medesimo di un bestseller che sta spopolando negli Stati Uniti e che è appena approdato nelle librerie italiane. E’ la storia, autobiografica, di Javier Zamora, un bambino salvadoregno di nove anni che, zainetto in spalla,   è costretto a mettersi nelle mani dei “coyotes” (i contrabbandieri di essere umani nel gergo dell’America latina), per raggiungere, dopo anni di lontananza , i propri genitori che, dopo un avvio difficile, sono riusciti a costruirsi una vita dignitosa e “regolare” nel fantomatico mondo di Gringolandia (l’agognata California vista con gli occhi di  Javier bambino). Perché richiamo questa storia?  Perché è anch’essa il frutto, malato, di una politica  che, alla faccia dell’umanità invocata a pieni polmoni, rende difficile anche il più elementare dei diritti umani, quello al ricongiungimento familiare, rendendo quasi obbligatorio il ricorso ai “coyotes” con  tanto di spericolati viaggi attraverso vari paesi del centro-america e poi l’attraversamento, pieno di rischi, del confine tra Stati Uniti e Messico. Una storia esemplare, non c’è che dire, che si potrebbe riproporre pari pari, per i “nostri” migranti della rotta balcanica e, fatte le opportune distinzioni, anche per i poveri naufraghi che dal Nord Africa si muovono verso l’Europa. Che cosa ci insegna tutto questo? Che cosa ci insegna la politica dei ”porti chiusi” rilanciata alla grande dal governo Meloni o il rapido dietrofront del Sindaco di Dipiazza sul dormitorio fronte Piazza Libertà prima promesso e poi sparito dal radar? Senza avere la presunzione di individuare riposte dettagliate e conclusive, certamente alcune cose chiare sentiamo di poterle, motivatamente, dire. La prima: oggi in Italia o sei davvero un profugo politico (ma lo devi chiaramente dimostrare) oppure il tuo ingresso  nel nostro Paese è destinato, inevitabilmente, ad approdare nel circuito dell’illegalità. Sei un numero, da utilizzare, se va bene, come manovalanza sottopagata (che poi è estremamente difficile fare emergere) oppure diventi una pedina della criminalità: se sei uomo è lo spaccio la tua meta “preferenziale”, se sei donna una carriera da prostituta sfruttata è il tuo più che probabile destino. E’ così! E’ inutile nascondersi dietro ad un dito. In mezzo, stanno, in una sorta di temporaneo limbo, i “richiedenti asilo” cioè coloro che, entrati illegalmente sul suolo italico,  si dichiarano rifugiati politici ed in automatico dovrebbero essere inseriti nella nostra rete di accoglienza.  Sono quelli, per capirsi, che animano il campeggio a cielo aperto, ad esempio, della nostra Piazza Libertà. Allora che fare ? Come ha detto Papa Francesco, il primo dovere è quello dell’accoglienza di naufraghi e persone fragili (in particolare bambini, donne, malati), ma a monte  vanno create le condizioni per limitare e, in prospettiva, eliminare, i viaggi della speranza per i c.d. migranti ”economici”  , lasciando, ovviamente, aperta la strada, con una gestione che deve essere sicuramente di livello europeo, per coloro che scappano da situazioni di guerra o di conclamata persecuzione politica. Con una ulteriore precisazione: vanno potenziate le strutture e definiti tempi certi per l’esame delle richieste di asilo, contenendo al massimo i tempi per l’esame di dette richieste o accogliendole o respingendole (con accompagnamento obbligatorio ai confini, in quest’ultimo caso!).

E per gli altri che si fa? Un Paese serio e che volesse davvero gestire questo fenomeno ha un solo modo, a mio modesto avviso, di farlo: stabilire annualmente le quote di lavoratori di cui ha bisogno la propria economia ed attivare presso le principali ambasciate extra-Ue punti di raccolta di candidature e di curriculum delle persone interessate e che siano in possesso dei necessari requisiti professionali. Questa ci pare l’unica, seria strada  per uscire dalla perenne emergenza e per tornare, davvero, a vivere le nostre periferie con serenità e la giusta dose di tranquillità.

Direi che il tempo per le polemiche e gli alibi è oramai scaduto: bisogna agire presto e bene, e soprattutto occorre davvero tagliare l’erba sotto ai piedi di questi commercianti di uomini (I coyotes già citati) che sono quanto di più inumano e criminale ha prodotto sinora il sottobosco dell’immigrazione clandestina.  Forse sono solo vuote parole le mie, però ci credo davvero e solo se incominciamo a seminare buone idee potremo dire di aver fatto tutto il possibile per incominciare a costruire un mondo migliore ed una vita degna di essere vissuta per tutti gli essere umani.