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Mostra a Trieste: Nel fuoco rosso come il pane cotto

Tutto ruota intorno alle miniere e pietre preziose. Janjevo, l’ambiente ideale di questa mostra allestita nell’Oratorio della Chiesa di San Marco evangelista a Trieste e aperta fino al 14 luglio p.v., nasce intorno ad una miniera di cui è gioiello, che a sua volta diventa una miniera che genera la perla del personaggio, di cui comune ma insolita...
 |  Nik97  |  Eventi
Tutto ruota intorno alle miniere e pietre preziose. Janjevo, l’ambiente ideale di questa mostra allestita nell’Oratorio della Chiesa di San Marco evangelista a Trieste e aperta fino al 14 luglio p.v., nasce intorno ad una miniera di cui è gioiello, che a sua volta diventa una miniera che genera la perla del personaggio, di cui comune ma insolita vicenda umana è raffigurata nei pannelli e narrata nella monografia da cui nasce.  
Come di un violino le corde, scorrono davanti agli occhi i quattro filoni tematici: la storia del paese, la storia della Chiesa, il carteggio tra la famiglia e l’Esercito, i documenti desunti dagli archivi dei servizi segreti. L’anima, che fa risuonare questa melodia corale di libertà, amore e dolore, la figura del ventenne soldato Rozo Rosario Palić, vittima innocente dell’odio verso la fede.
Nato e vissuto nella prima metà del secolo scorso nell’antica enclave croata in Kosovo, allora Regno di Jugoslavia e poi la Jugoslavia di Tito, sognò di diventare sacerdote, fu mobilitato forzatamente nell’esercito del Partito comunista nel ’47, e ucciso nella caserma di Tenin nel ’49, per aver partecipato alla S. Messa domenicale nel suo paese durante la prima licenza. Il caso fu coperto dal silenzio e divenne presto segreto di stato. Le ricerche della famiglia, dopo oltre un decennio produssero il rilascio ufficiale del certificato di morte non corrispondente al reale stato dei fatti, ufficiosamente rivelati ai famigliari dai due testimoni negli anni ’60. 
La storia della sopravvivenza del paese, nato nel basso medioevo come colonia mineraria della Repubblica di Ragusa, fra le secolari tempeste di tentato annientamento fisico, spirituale e morale è rievocata attraverso alcuni protagonisti caduti in difesa della lingua, dell’identità e della fede. 
Il racconto della Chiesa di Janjevo, punto fermo nei tempi di crisi, accomunata nella seconda metà del ’900 a quella dell’intero paese jugoslavo, scorre come un filo conduttore. Sono raffigurati la catacomba con l’altare dove si trasferì la funzione dopo la distruzione dei turchi e dove furono sotterrate anche le sue campane, la ricostruzione iniziata nel secondo ’800 e i momenti più salienti del ’900, come il salvataggio degli ebrei, le infiltrazioni degli agenti segreti, il fenomeno degli “Angeli bianchi”, coro dei bambini che incantò l’Europa degli anni ’70 e che impiegò il ricavato dalla vendita dei dischi per la costruzione della chiesa. Ricordati infine i due beati di Janjevo, entrambi morti di morte violenta: fra Alojzije Palic che nel 1913 difese i musulmani dall’imposizione dell’ortodossia, e fra Serafin Kodic Glasnovic che nel ’47 non volle svelare il segreto confessionale. 
Dalle testimonianze rese dalla piccola enclave croata, si comprende più facilmente quanto per oltre mezzo secolo accadeva nell’intero paese: sorveglianze e persecuzioni dei singoli e delle famiglie, dei sacerdoti e laici che siano, infiltrazioni nelle riunioni private, estorsioni di informazioni con inganno. La Chiesa, come documentato in una lettera, fu considerata “principale nemico del popolo e dello stato” e le azioni ispirate dall’odium fidei non facevano distinzione tra nazionalità. È quanto traspare dall’esempio dei beati appartenenti a tre nazioni diverse, a simbolo di molti rimasti senza nome. Don Francesco Bonifacio, don Miroslav Bulesic, Lojze Grozde, furono uccisi per aver somministrato la confessione, protetto il Santissimo o trovato in possesso di testi religiosi e immagini sacre. Insieme a loro ricordato il beato Alojzije Luigi Stepinac che rifiutò nel ’46 di staccare la Chiesa croata dal Vaticano, fu condannato in un processo montato e morì in carcere.   
La parte centrale, la documentazione originale riportata alla luce dopo i 75 anni di ricerche, fa toccare con mano il calvario della famiglia del giovane soldato, in ricerca della sua salma e delle informazioni sulla sua morte. Sotterfugi, strattagemmi, minacce, invenzioni di malattie inesistenti, intimidazioni, manipolazioni di testimoni traspaiono dal carteggio con i vertici militari, volti a coprire il crimine e bloccare qualsiasi quesito. 
I reperti originali dell’Udba (Direzione per la sicurezza dello Stato, cioè i servizi segreti civili) documentano il sistema che governò nell’ex Jugoslavia per oltre 50 anni, fondato sul meccanismo del terrore, sull’imposizione del silenzio e sulla diffusione della paura. 
Lontano “dal volto umano” come spesso l’Occidente democratico lo preferiva vedere, i documenti e le fotografie esposte narrano un’altra storia. Quella che conclude nel febbraio del ’51 Alekdandar Rankovic, braccio destro di Tito e capo dei servizi segreti, che ufficialmente affermò che entro quella data 586.000 “nemici del popolo” sono stati eliminati dopo “il regolare processo”. Lecito chiedersi quanti ne furono quelli senza “processo” e non compresi nel numero dichiarato da chi, qualche anno più tardi sarà fagocitato dallo stesso sistema che servì.
Le miniere e le perle preziose. Ce ne sono tante. Forse troppe, ci passiamo accanto senza renderci conto. Ci si domanda, riflettendo su queste storie proposte dalla mostra e tenendo l’orecchio alla musica che ne scaturisce, anche un po’ meravigliati, ma come hanno fatto a restare, a resistere, un pugno di persone, tra tutte quelle calamità nei secoli e senza perdersi, poi? Da dove la forza? Forse solo il profondo radicamento nell’identità trascendente gli permise di restare fedeli al principio di libertà, fondata sull’amore per sé, per l’altro e per la Vita stessa. È una miniera da cui scavare il tesoro anche per la vita di oggi, tempestata da sfide del mondo in continuo cambiamento. Ma invita anche ad esplorare quella miniera nascosta dentro ciascuno di noi, e raccogliere quelle pietre preziose a portata di mano che così spesso, storditi dalle distrazioni quotidiane continuiamo a cercare, scordando di averle già. 
Parole chiave: Trieste