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I governi chiudono i confini e i vescovi aprono all'accoglienza, Emme Zeta: "Meno male che Trevisi c'è"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno

Se qualcuno avesse ancora dubbi su carattere e formazione del nuovo vescovo di Trieste, monsignor Trevisi, crediamo che le sue recenti iniziative e prese di posizione sul caldissimo tema dei migranti lascino ben pochi dubbi in proposito. La sua designazione alla guida della chiesa tergestina si sta via via rivelando come un prezioso dono alla città, che, nel giro di pochi mesi, ha dimostrato di apprezzare e conoscere, valorizzandone i più sinceri sentimenti cristiani all’insegna del pluralismo religioso, dell’accoglienza e del rispetto assoluto della dignità umana. Valori questi che ha  saputo tradurre in gesti concreti  sia nell’affrontare il tema dei migranti, sia, da ultimo, con riferimento al ripristino dei controlli di sicurezza ai confini italo-sloveni.

Partiamo, nella nostra breve analisi, proprio da quest’ultimo tema riservandoci di tornare poi sulla questione dell’assistenza ai migranti. 

Il 7 ottobre con la strage perpetrata a Gaza dai terroristi di Hamas verso inermi cittadini israeliani c’è stato un “ritorno di fiamma” della questione palestinese, anche se, a dire il vero, ai migliori osservatori di politica internazionale l’efferatezza del gesto compiuto è parsa davvero l’ennesima tappa dell’eterno conflitto tra il mondo dell’estremismo islamico ed il mondo occidentale, piuttosto che un atto volto a reclamare l’indipendenza del popolo palestinese. Da questo terribile fatto e dalla conseguente reazione israeliana, ne è conseguito un compattamento dei paesi occidentali che, a fronte delle rinnovate minacce del terrorismo islamico, hanno assunto una serie di provvedimenti a tutela della propria sicurezza, soprattutto a fini preventivi di eventuali azioni terroristiche nei propri territori nazionali. Tra questi, anche a seguito di segnalazioni dei servizi segreti che ipotizzavano la possibilità di infiltrazioni terroristiche nell’ambito dei flussi migratori irregolari che entrano nell’Unione europea attraverso la rotta  balcanica, non solo l’Italia ma anche la vicina Slovenia hanno deciso di sospendere il Trattato di Schengen (Ndr: quello che garantisce la libera circolazione di persone e merci nel’ambito europeo) ripristinando i controlli ai principali valichi di frontiera per un periodo di tempo al momento non ancora definito nella sua durata. E che ti fa il buon Trevisi, coinvolgendo anche l’arcivescovo di Gorizia Redaelli e il vescovo di Capodistria Bizjak ?  Fa uscire sui media una nota congiunta a forte significato simbolico. “Pur comprendendo le ragioni alla base di queste decisioni degli Stati – scrivono i tre autorevoli esponenti della chiesa cattolica – non possiamo non ricordare che le nostre popolazioni sono state capaci di trasformare le divisioni e le differenze linguistiche, culturali, storiche in occasione di memoria reciprocamente donata”. Proprio grazie alla comune adesione all’Unione Europea e alla conseguente liberalizzazione delle frontiere, la separazione tra nazioni venne superata e così proprio i confini “si sono trasformati in luoghi di incontro e di accrescimento reciproco come testimonia, tra l’altro, la scelta di fare di Nova Gorica, insieme a Gorizia, la Capitale europea della cultura 2025”.

Da questa considerazione il passo è breve nel richiamare la realtà dei migranti che, costretti a lasciare la loro casa, attraversano giornalmente il confine italo-sloveno, provenienti, in massima parte, da Paesi segnati da conflitti e povertà. Questo continuo transito lungo la cosiddetta rotta balcanica non può costituire “motivo di preoccupazione – sostengono i presuli – ma stimolo a testimoniare ogni giorno … quell’impegno all’accoglienza a cui siamo chiamati e di cui, come credenti, saremo chiamati a rendere ragione”. Dunque, un impegno forte, inequivocabile, pur nella piena consapevolezza del rigurgito del conflitto in Medio Oriente, ennesimo frammento di quella che lo stesso Papa Francesco anni fa definì la “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”. Ed è lo stesso pontefice ad alzare la sua voce  affermando con forza, in perfetta sintonia col pensiero dei tre vescovi, che “il principio del primato della persona umana e della sua inviolabile dignità ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale”. Ma questo non significa, conclude Papa Francesco, che non sia necessario “proseguire gli sforzi per combattere le reti criminali e indicare strade più sicure, ampliando i canali migratori regolari ma garantendo a tutti, allo stesso tempo, il diritto a non dover migrare”.

Proprio queste illuminate parole del pontefice ci offrono il destro per accennare all’altra concreta iniziativa presentata nei giorni scorsi da monsignor Trevisi. Proprio partendo dalla realtà triestina che vede giornalmente decine, se non centinaia, di profughi fermarsi anche solo per una notte a Trieste nei pressi della stazione ferroviaria senza servizi igienici e senza un riparo, il vescovo, dopo aver lanciato l’ennesimo appello alle istituzioni, afferma “ci rendiamo conto che in questa situazione non possiamo stare fermi, in silenzio, inermi, con la paura che possa succedere qualcosa di grave. Come Chiesa di Trieste abbiamo individuato una piccola struttura presso una parrocchia cittadina”. Si tratta, per essere precisi, di una sala dormitorio attrezzata con 24 posti letto nell’ufficio parrocchiale della chiesa dell’Immacolato Cuore di Maria, in via Sant’Anastasio, a due passi da quella Piazza Libertà e dalla stazione ferroviaria in cui “stazionano” ogni giorno (e successiva notte) qualche centinaio di migranti, di cui oltre duecento – stando alle più recenti statistiche fornite dalle associazioni di volontariato – ospiti di quell’indegno immondezzaio costituito dal Silos. 

A proposito delle associazioni di volontariato (le uniche, sia detto per inciso, che danno una mano concreta a questi disgraziati fornendo loro un minimo di assistenza sanitaria, igienica ed alimentare!) è proprio ad esse ed anche ai singoli cittadini che rivolge un accorato appello il vescovo chiedendo un fattivo  contributo per tenere aperto il dormitorio ogni notte, collaborando con la Caritas diocesana.

Insomma, è necessario, ora più che mai, l’aiuto di tutti perché “nelle prossime settimane arriverà il freddo, è necessario un dormitorio in più per fronteggiare l’emergenza notturna…perché ci sono persone che vivono fuori e hanno bisogno di riparo”. Parole semplici, chiare. Nel sonno indisturbato delle istituzioni (ogni riferimento al nostro Comune in tutt’altre faccende affaccendato non è puramente casuale), verrebbe proprio da gridare: ”meno male che Trevisi c’è !”

Emme Zeta