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Il tema sanità tiene sempre banco, Emme Zeta: "Ci auguriamo che i vertici di Asugi stiano attentamente monitorando la situazione"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno

Oramai non passa giorno che il “tema-sanità” non occupi le cronache politiche locali suscitando, nel cittadino-utente, perplessità, domande inevase e fondate preoccupazioni sui propri bisogni, presenti e futuri, di sanità. Tentare di fare un po’ d’ordine e di chiarezza ci pare dunque, da attenti osservatori della (quali vorremmo essere), un nostro preciso dovere.

Com’è nostro costume in casi analoghi (ovvero quando gli spunti di cronaca appaiono molteplici e tra loro contraddittori), s’impone una divisione degli argomenti per “macro-temi”: il primo riguarda le famose “risorse aggiuntive regionali” (in sigla Rar), il secondo l‘altrettanto noto fenomeno della fuga del personale dal servizio sanitario regionale ed il terzo la situazione dell’edilizia sanitaria in “salsa giuliana”.

Partiamo dal primo argomento.

Come noto,  a fronte della paventata riduzione di 2,8 milioni di euro delle Rar per il personale della sola Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina e della proclamazione dello stato di agitazione da parte di quasi tutte le organizzazioni sindacali, è stato il presidente Fedriga a dover prendere in mano la situazione e porre una pezza all’evidente forzatura ipotizzata dall’assessore Riccardi. E infatti, nel corso dell’incontro con Cgil, Uil, Fials e Nursind dello scorso 16 febbraio il presidente, alla presenza di Riccardi, lo ha, di fatto, smentito, dichiarando “ Nessun dipendente della sanità prenderà meno rispetto allo scorso anno. C’è una condivisione nel percorso…Con le risorse che abbiamo messo in bilancio dimostriamo di voler potenziare il sistema sanitario…Inoltre, se ce ne fosse la necessità, la Regione interverrà”.  Parole chiare e inappuntabili che, per una volta, hanno risposto appieno alle aspettative sindacali, tanto da indurli a sospendere, seduta stante, lo stato di agitazione, con la doverosa precisazione “in attesa di leggere le buste paga  del prossimo 27 marzo e avere riscontro alle parole del governatore”: come dire che fidarsi è bene, ma , visti i precedenti, è doveroso prendere le opportune precauzioni. In merito, posto che la minacciata protesta sindacale ha avuto un indubbio riscontro positivo rispetto ai reclami del personale, hanno avuto partita facile le opposizioni in consiglio regionale a trarre alcune doverose conclusioni. La prima riguarda la necessità, prima di considerare chiusa la vicenda, di attendere la verifica degli impegni presi da Fedriga, visto che sarà necessario nel primo assestamento di bilancio stanziare nuove risorse per far sì che i dipendenti del comparto  di Asugi (infermieri e operatori socio sanitari) non perdano davvero neanche un euro a causa della “scellerata perequazione” prospettata.

La seconda, tutta politica, riguarda l’osservazione su una prima, evidente crepa nel rapporto (sinora simbiotico) tra il presidente ed il suo assessore alla sanità, a fronte della decisa marcia indietro rispetto alle prime, incaute affermazioni di  Riccardi e al doveroso riconoscimento che quanto imprudentemente prospettato avrebbe comportato una perdita secca di qualche centinaio di euro proprio e unicamente a carico dei dipendenti della sanità giuliano-isontina!   Insomma, l’effetto indotto (non si sa sino a che punto voluto) sarebbe stato quello di aizzare un insano campanilismo tra Trieste e Udine che il presidente, in tantissimi atti del suo duplice mandato, ha dimostrato sinora di voler avversare!   Passiamo all’altro fronte, assolutamente caldo, ovvero quello della fuga del personale dal Servizio sanitario regionale. Qui, come nel caso precedente, comandano i numeri, ovvero quelli ottenuti dal consigliere regionale piddino Conficoni dalla Direzione centrale salute a seguito di una specifica richiesta di accesso agli atti.  E cosa dicono questi numeri? Dicono che nel triennio 2020-2022 si sono “dimessi” volontariamente dal Servizio sanitario regionale 2.095 dipendenti (con punte di 895 dimissioni nell’Azienda del Friuli centrale e di 564 in quella Giuliano-isontina!), cui vanno aggiunti 1.643 pensionamenti e le mobilità verso altri enti o altre regioni su un organico che attualmente conta su 20.485 addetti (contro i 19.866 del 2019, come orgogliosamente rivendicato dall’assessore alla sanità).  In definitiva, per i motivi più vari uno su dieci se ne va e lo fa in maniera equamente distribuita tra medici, infermieri, operatori socio sanitari ed amministrativi.  Un dato sicuramente allarmante, non c’è che dire, peraltro replicato in tutta la penisola con punte davvero preoccupanti in alcune regioni del Meridione.  A fronte di questa situazione (dovuta ad una molteplicità di fattori), a livello nazionale sembra ancora mancare una precisa strategia d’attacco che si ponga l’ambizioso obiettivo di invertire il trend avvicinando la soluzione del problema, ma prevale, così ci pare di poter interpretare le ultime mosse governative, unicamente la logica del “tappabuchi”: ogni riferimento alla recentissima introduzione della possibilità per i medici di restare in servizio fino a 72 anni non è, in quest’ottica, puramente casuale.  E a livello locale? A livello locale, non è che le cose vadano molto meglio.  Se da un lato vi è comunque la necessità che, a fronte delle rilevanti risorse stanziate ogni anno dal bilancio regionale, occorra fare delle scelte di razionalizzazione “di sistema”, dall’altro vige tuttora la tendenza di far risalire ogni guaio a chi ha governato prima, accusando le opposizioni di fare unicamente polemiche “distruttive” ed ideologiche, interpretando a proprio uso e consumo numeri che “vanno letti, non interpretati per fare politica spicciola toccando solo i pezzi che aiutano a fare chiasso” (Riccardi dixit!) .  Qui la reazione, piccata, è alla reiterata accusa di favorire, nei fatti, il privato a danno del pubblico.  Sul punto, nel concordare che è necessaria una analisi attenta ed approfondita di quanto sta accadendo nel settore, ci pare in prima battuta di dover ribadire la distinzione tra privato ”accreditato” (cioè il privato che svolge prestazioni a tariffe calmierate integrando l’offerta di servizi della sanità pubblica) e il privato “tout court”, ovvero che agisce in un regime di libero mercato, offrendo servizi a totale carico di una clientela selezionata e ad alto reddito.  In secondo luogo, è necessario prendere atto che sul totale delle dimissioni soprarichiamate appare piccola (dell’ordine del 5 %) la quota di coloro che si trasferiscono per ora nel privato convenzionato. E quindi? Quindi la fuga è dovuta primariamente (e su questo concordiamo con quanto sostenuto dall’assessore) allo stress da lavoro, all’eccessivo carico di responsabilità con turni spesso massacranti e con una conseguente impossibilità di avere una vita privata “normale”.  Tutti fattori questi che in alcune specialità come medicina d’urgenza, anestesia e chirurgia generale stanno provocando dei pericolosi vuoti che la sanità regionale si sta ingegnando a coprire con il ricorso a cooperative o a medici a gettone.  Insomma, la situazione è grave (e questo, per fortuna , nessuno lo nega) e vi è la necessità di una strategia ad ampio raggio per recuperare il terreno sinora perduto: dalle nuove assunzioni ad un doveroso miglioramento economico, da nuove formule organizzative (anche con riduzioni di doppioni laddove tuttora presenti) a modalità “creative” di valorizzazione delle competenze e delle eccellenze tuttora presenti nella sanità pubblica. Una via  lunga, difficile, ma prima la si inizia a percorrere con convinzione (ascoltando, doverosamente, i buoni consigli da qualunque parte vengano) e meglio è.        

Chiudiamo con un sintetico rifermento alla situazione dell’edilizia sanitaria cittadina. Qui le recenti notizie sono due. La prima riguarda l’estensione del Burlo Garofolo, dopo oltre 80 anni dalla sua costituzione, che aggiunge ai 12 mila metri quadrati sinora disponibili ben 3.500 metri quadri nel vicino comprensorio dell’Opera San Giuseppe dove su tre edifici hanno trovato un’adeguata sistemazione uffici amministrativi, il nuovo Poliambulatorio (appena inaugurato) con annesso nuovo laboratorio di ricerca per la medicina di precisione e le malattie rare; cui a breve si aggiungeranno uffici direzionali e tecnici con lavori che dovrebbero partire entro metà anno. 

Bene per il Burlo che trova così risposte ad esigenze che si trascinavano da anni, pur nella conferma  dichiarata dal suo direttore generale Dorbolò che  non vi è alcuna contraddizione tra questo investimento e il previsto trasferimento a Cattinara anche se (w l’onestà) “ora il Burlo non era nelle condizioni di poter aspettare ancora. E il mio compito è dare garanzia di sicurezza ai miei lavoratori e all’utenza: oggi, subito e non quando ci sarà la nuova sede”. E bravo Dorbolò, tutta la nostra stima per le parole chiare usate nella circostanza, anche perché il doveroso riferimento ai tempi biblici del cantiere del “nuovo” ospedale di Cattinara apre la seconda, breve parentesi sull’edilizia sanitaria giuliana. Qui la notizia (a fronte di un cantiere che è sostanzialmente fermo da tempo) ha che fare con la ditta aggiudicataria, ovvero la Rizzani De Eccher, di cui è nota la situazione finanziaria difficile in essere da mesi. A fronte di un portafoglio ordini che è salito nel 2023 da 3 a 5,1 miliardi di euro con ricavi saliti a 850 milioni di euro (in ordine sparso, per quanto riguarda il Nord Est, la terza corsia autostradale tra Latisana e Portogruaro ed il collegamento ferroviario tra Mestre e l’aeroporto di Venezia, oltre a Cattinara), le rate dei debiti non pagate alle banche sono salite da 16,2 milioni di euro ad una stima tre volte maggiore. Quindi permane una situazione  critica per la società che ha chiesto e ottenuto ulteriori sei mesi di tempo di “composizione negoziata” per mettere in atto un piano di risanamento che trovi l’accordo delle banche creditrici. E nel frattempo?  Nel frattempo e fino a che le banche non riapriranno i flussi di crediti garantiti alla società, bocce assolutamente ferme, con cantieri che appaiono semiabbandonati e opere che si trascinano negli anni senza veder la fine. 

Posto che il problema è assolutamente complesso ci auguriamo che i vertici di Asugi stiano attentamente monitorando la situazione perché riteniamo, ripetendo le parole di Dorbolò, che dovere primo di un qualunque dirigente sanitario sia quello di “dare garanzia di sicurezza ai...lavoratori e all’utenza: oggi, subito..”

Meditate gente, meditate…

Emme Zeta