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Trieste ed il porto globale

Trieste è di nuovo al centro della politica mondiale: la città è ridiventata uno snodo per i traffici globali ed interessa ai grandi players del mercato, i cinesi, gli europei e gli americani. Non solo per portare le mercanzie made in China verso l'Europa ma anche perché Trieste è un nodo strategico per le forniture di materie prime ed...
 |  Francesco Tremul  |  Geopolitica

Trieste è di nuovo al centro della politica mondiale: la città è ridiventata uno snodo per i traffici globali ed interessa ai grandi players del mercato, i cinesi, gli europei e gli americani. Non solo per portare le mercanzie made in China verso l'Europa ma anche perché Trieste è un nodo strategico per le forniture di materie prime ed energia al continente. Il memorandum d’intesa firmato tra Pechino e Roma nel 2019 aveva già conferito alla città un ruolo chiave nella nuova Via della Seta, il noto progetto di sviluppo infrastrutturale tra la Cina e l'Europa. Una firma che aveva infastidito non solo gli USA ma anche i partners europei: il timore per i primi era che questo rapporto ravvicinato tra Pechino e Roma potesse trasformarsi in un cavallo di Troia cinese proprio nel cuore dell'Europa. Francia e Germania, che potevano contare su interscambi commerciali con la Cina ben superiori a quelli italiani, avevano invece più scrupoli di carattere commerciale - leggi concorrenza tra paesi UE - che reali preoccupazioni di carattere geopolitico. Eppure fino ad alcuni anni fa trattare con la Cina non aveva implicazioni geopolitiche: la logica era puramente economicistica. Il dialogo attivo del porto con la Repubblica Popolare Cinese non prevedeva alcuna adesione formale alla Belt and Road Initiative. La Cina vedeva Trieste come porta privilegiata per accedere al mercato italiano e dell’Europa centrale ed il porto si immaginava di sviluppare piattaforme logistico-industriali in Cina per l’import dei prodotti italiani nel Paese del dragone, ma anche progettualità per valorizzare il made in Italy. Sta di fatto che invece si è voluto assegnare un valore geopolitico ad un’iniziativa che riguardava la logistica ed il trasporto internazionale delle merci. Il passaggio di mano di un terminal (peraltro a fronte di una sola concessione pluriennale) certamente non stravolge di per sé gli assetti strategici nazionali anche perché con le tecnologie attuali non serve il controllo di un terminal portuale per spiare o condizionare qualcuno.

A fine 2019 si è passati ad una situazione in cui importanti operatori logistici tedeschi iniziano a guardare con interesse all’alto Adriatico: l’Interporto di Trieste SpA si allea con l’Hamburger Hafen und Logistik Ag, il terminalista principale del porto di Amburgo che così si assicura un affaccio sul Mediterraneo e si impegna ad aumentare i traffici e ad aumentare i collegamenti con il bacino della Ruhr. Inoltre, la Duisburger Hafen Ag entra nel capitale dell’Interporto di Trieste SpA come socio di minoranza. Per entrambi la scelta d’investimento è motivata dal potenziamento dell’intermodalità ferroviaria, ma anche da una questione energetica: accanto alla piattaforma logistica è presente il fondamentale oleodotto Transalpino attraverso cui passa la totalità del petrolio che arriva in Austria ed in Baviera. E di nuovo non va assegnato troppo valore geopolitico all’operazione: non si è trattato di un'operazione per cui l'Europa ha risposto alla Cina, facendo qualcosa di gradito agli americani. Si parla di trasporti: il vero messaggio dell’operazione è che c'è il riconoscimento globale dell'importanza del porto di Trieste nella Via della Seta marittima, il più grande corridoio trasportistico del globo. Semmai la notizia è che soggetti europei, quindi fuori dai blocchi USA e Cina, organizzano attività all'interno di questo corridoio: questo ha rassicurato l'Unione europea e anche gli Stati Uniti.

C’è la necessità di una terza via rispetto alle narrative americana e cinese: tra l’altro la Belt and Road Initiative penalizza la Northern Range e questo a Bruxelles ed ai suoi azionisti tedesco-olandesi non piace affatto. All’UE invece piace l’idea di riaprire la storica via commerciale dall’Europa centrale verso il Mediterraneo e l’estremo Oriente e l’aumento del commercio multimodale tre le regioni europee attraverso questo corridoio, in linea con le priorità della Commissione. Rivale sistemico, competitor commerciale e industriale, Pechino è per Bruxelles al tempo stesso anche partner strategico su dossier fondamentali per gli interessi dell’Unione: la scelta non è se rimanere aperti a Pechino ma sul come sia meglio farlo. Bisogna equilibrare cooperazione e competizione. Il porto è quindi diventato uno snodo geopolitico cruciale che dalla Via della Seta cinese è passato al Recovery Plan e, utilizzando i fondi del PNRR, auspica di svincolarsi dalla dipendenza di questo o quel mercato e di sviluppare nuovi sbocchi per le nostre imprese. Trieste è utile all’Italia se non resta solo ed esclusivamente un porto “italiano” – perché finirebbe per essere uno scalo minore rispetto ai soli interessi commerciali del nostro Paese – ma se si inserisce in un più ampio sistema economico. Quella adriatica è una rotta commerciale secondaria ma Trieste è un porto che, vista la sua posizione geografica ed il ritorno del trasporto merci su ferro, ha grandi potenzialità, tra tutti gli scali italiani probabilmente quello più appetibile per gli investitori, anche stranieri.

Parole chiave: Primo piano, Trieste