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Industria in affanno a Trieste, Zinnanti: "Bisogna agire subito, la Regione deve coinvolgere il Governo"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno
Foto di Francesco Pierantoni
Certo che a Trieste non ci facciamo mancare mai niente. Per una crisi quella di Wartsila, scoppiata giusto due anni fa con la famosa lettera che preannunciava la chiusura dello stabilimento di Bagnoli della Rosandra e che si avvia ad una brillante (e niente affatto scontata) conclusione grazie al provvidenziale intervento della corazzata Msc, ecco scoppiare poco distante la crisi della Tirso, unica azienda tessile regionale. 
Prima di focalizzare la nostra attenzione su Tirso facciamo un mezzo passo indietro per ricordare, a futura memoria, i termini dell'accordo che, solo dopo alcuni mesi dalla dichiarazione pubblica di interesse del fondatore e proprietario di Msc Gianluigi Aponte, ha delineato un solido futuro produttivo per lo stabilimento di Bagnoli dal quale usciranno dalla seconda metà del 2026 1.500 carri ferroviari all'anno. Innanzitutto, vengono riassorbiti tutti i 261 esuberi dichiarati da Wartsila (nel mentre 600 sono gli addetti che continueranno a lavorare per Wartsila a Trieste), dal primo agosto la neo-nata Innoway Trieste (società partecipata da Msc) subentrerà nel ramo d'azienda ceduto da Wartsila e farà partire un' immediata richiesta di cassa integrazione straordinaria  di durata biennale per tutti i 261 lavoratori in esubero. Da un punto di vista economico, i 261 riceveranno a testa 17.400 euro da Wartsila quale indennità di "accompagnamento" alla ricollocazione in Innoway. Nel mentre la nuova società si farà carico di un'integrazione alla cassa di 210 euro al mese per i prossimi  due anni e garantirà a tutti un superminimo di 110 euro (nel rispetto di precedenti accordi garantiti dal gruppo finlandese). Dunque, impegni importanti, avallati praticamente da tutti i lavoratori interessati e che, per essere definitivamente operativi, necessitano solo di un unico ulteriore passaggio formale, ovvero la stipula del nuovo Accordo di Programma, prevista per il prossimo 29 luglio a Roma e che definirà in tutti dettagli i contenuti della reindustrializzazione. Come si è giunti a questo importante risultato?  Certo la discesa in campo di un manager come Aponte è stata determinante per la rapida chiusura della vicenda, ma è innegabile che la compattezza dimostrata sin dall'inizio dal sistema sindacati-datori di lavoro e istituzioni ha avuto il suo innegabile peso nel mantenere sempre viva la speranza di una felice conclusione, allontanando i rischi di pericolose derive di mera contestazione che molto spesso spesso non raggiungono alcun risultato. Dunque, per una volta, esperienza positiva in cui tutti (ma proprio tutti) hanno remato nella medesima direzione garantendo occupazione ed una seria prospettiva di sviluppo industriale in una città, Trieste, in cui troppo spesso ci si arrende alle chiusure, senza prospettare concrete alternative.
 
E ora passiamo alla Tirso. Qui, dopo mesi di rumors, la crisi deflagra qualche giorno fa' con una duplice notizia: la prima relativa alla decisione di Friulia (la finanziaria regionale) di mettere in vendita le proprie azioni nel capitale sociale, acquisite solo nel 2020 per un importo di 2,5 milioni di euro, preannunciando di fatto un rapido disimpegno a fronte di prospettive aziendali quanto meno incerte; la seconda con l'annuncio dell'azienda di mettere in cassa integrazione tutti i 175 lavoratori dal prossimo 19 agosto per 13 settimane, a ulteriore conferma del difficile momento vissuto da Tirso.  Su entrambi gli eventi è ferma la reazione sindacale:" Non nascondiamo la nostra sorpresa per l'azione, peraltro senza precedenti, compiuta da Friulia...Nessun dubbio sulle ragioni e sui diritti contrattuali che legittimano Friulia, ma il contesto aziendale e l'opportunità forse avrebbero dovuto suggerire una maggiore cautela ma anche un maggior coinvolgimento dei lavoratori e dei sindacati".  Sul punto relativo alla mancata informativa, i sindacati (Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec e Confsal) hanno infatti evidenziato come la conferma della notizia dell'uscita di Friulia è arrivata solo "a operazione conclusa, e solo dopo avere richiesto un ulteriore incontro". Insomma, c'è di che essere preoccupati e legittime paiono le richieste sindacali volte a capire se esistano già dei potenziali acquirenti interessati a salvaguardare l'attività e i livelli occupazionali, anche nella considerazione che in Regione è aperto da tempo un tavolo di crisi sulla Tirso che dovrebbe rappresentare la sede principale di confronto sulle prospettive dell'azienda. E i proprietari della Tirso cosa dicono?  Quasi in contemporanea all'uscita di Friulia, avevano avuto un confronto con i sindacati nel corso del quale, dopo aver comunicato che, grazie ai proventi realizzati con operazioni straordinarie sui cespiti aziendali, l'azienda era nelle condizioni di garantire gli stipendi di giugno e luglio, era stato annunciato l'avvio della cassa integrazione per tutti i 175 dipendenti dal 19 agosto per 13 settimane. Da Friulia arriva la conferma della bontà del suo operato, almeno sino ad ora "Friulia ha da sempre sostenuto l'attività di Tirso nelle varie fasi di rilancio e di crescita della società, pertanto l'obiettivo primario è, e resterà sempre, quello di garantire il consolidamento dell'attività sul territorio e il mantenimento dell'occupazione. E con questo senso di responsabilità la finanziaria sta operando anche oggi". Mahh, al di là delle dichiarazioni di rito, vorremmo capire come queste si concilino con la "precipitosa" uscita dal capitale sociale e certamente lo vorrebbero capire i sindacati che bene hanno compreso come la posta in gioco sia proprio il futuro dei 175 lavoratori, di cui il 65% sono donne e di queste il 63% over 50.
Che le cose siano messe davvero male, l'hanno confermato le ulteriori notizie uscite nei giorni successivi. Tirso ha accumulato debiti per 13 milioni di euro e non è in grado di ripagare il finanziamento concesso da Friulia: è questa la clausola che ha fatto scattare il "mandato a vendere" deciso dalla finanziaria, una volta accertato che il privato non è in grado di onorare la restituzione del finanziamento. Chi sono gli altri debitori di Tirso? Da quanto si apprende, l'esposizione riguarda per 4 milioni i fornitori, per 3 tributi , per ulteriori 3 istituti di previdenza e 1,5 milioni di euro per la linea di credito aperta da Friulia. La situazione appare tuttora piuttosto nebulosa e gli attori stanno ancora cercando di capire che ruolo giocare nella partita. Dalla Regione, gli assessori Rosolen e Bini si schierano apertamente a favore della richiesta sindacale di "un'azione condivisa, tempestiva e responsabile a tutela del futuro produttivo". La Regione ha sempre cercato di favorire il dialogo tra Friulia e Tirso, ma l'azienda, a quanto pare, non si è dichiarata disponibile. Peraltro, sempre la Regione auspica che "una quota del ricavato delle operazione straordinarie che Fil Man Made (NdR:la holding cui appartiene Tirso) sta ponendo in essere venga utilizzato per definire la posizione di Tirso verso Friulia", evitando la vendita. Insomma, la responsabilità della situazione parrebbe ricadere tutta in capo ai manager aziendali, anche se le conseguenze delle loro azioni ricadono certamente sul futuro di 175 lavoratrici e lavoratori. Come se ne esce?  Con la lucidità che l'ha già contraddistinta in altre situazioni di crisi aziendale, un possibile percorso lo indica la deputata del Pd Debora Serracchiani:"Bisogna agire subito. Servono opzioni che impediscano all'azienda di arrivare alle estreme conseguenze e ci si deve mettere subito alla ricerca di soggetti che possano subentrare. Questo lavoro deve farlo la Regione, coinvolgendo il Governo".  Insomma, anche se sinora si è partiti col piede sbagliato (ovvero la messa in vendita delle quote azionarie di Friulia), c'è ancora tempo, poco, per intervenire. Va, come rilevato, messa in cantiere un'azione simil Wartsila per salvare Tirso e i suoi 175 dipendenti, unica azienda tessile regionale!  E va fatto adesso, non domani, perché potrebbe essere troppo tardi. Credo che di fronte ad una chiamata corale, i cittadini di Trieste e di Muggia (dove ha sede la Tirso) darebbero una risposta collettiva di grande partecipazione, a tutela di un'altra azienda simbolo del tessuto produttivo giuliano. Noi, di sicuro, ci saremo!
 
Mauro Zinnanti