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Qualcosa si muove nella sanità pubblica, Emme Zeta: "Obiettivi e finalità chiari, attendiamo fiduciosi"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno

Nel giro di pochi giorni, dopo mesi di assoluto mutismo da parte dei vertici regionali e locali della sanità pubblica, finalmente qualcosa si muove a favore di una utenza sempre più stanca e sfiduciata. L’uno-due di cui stiamo parlando ha a che fare da un lato con l’inaugurazione a Trieste del primo “ospedale di comunità” e, dall’altro, con l’approvazione in Giunta regionale del “piano per il recupero delle liste di attesa”.

Andiamo per ordine. Quanto all’ospedale di comunità, situato al terzo piano dell’Itis di via Pascoli, si tratta, in realtà, dell’inaugurazione formale di una struttura che, sia pure a livello sperimentale, aveva iniziato la sua attività già a fine dicembre 2022. Di che cosa stiamo parlando?  In sostanza, si tratta di un cosiddetto “letto intermedio”, destinato a quei pazienti che non sono in grado di curarsi da soli ma che, necessitando di cure a bassa intensità e di una assistenza e sorveglianza infermieristica continuativa, andrebbero ad occupare, in modo inappropriato, letti ospedalieri. Per rendere possibile tutto ciò si è dovuta concretizzare una vera e propria integrazione con l’azienda sanitaria a livello territoriale grazie al prezioso apporto dei tre soggetti coinvolti nell’operazione: l’azienda sanitaria, appunto, che ha messo disposizione l’assistenza medica; l’Itis che, oltre a dare la disponibilità dei propri spazi per un totale di 40 posti letto, ha fornito personale infermieristico, sociosanitario e della riabilitazione (nella misura complessiva di 40 addetti) ed, infine, la Fondazione CRTrieste  che ha finanziato arredi e attrezzature. Il risultato è il primo “ospedale di comunità” operativo a Trieste (ed in regione!), la cui efficacia e funzionalità è dimostrata proprio dalle cifre che ne fotografano il grado di utilizzo. Al 31 agosto scorso le persone  ricoverate sono state 434, di cui 278 donne e 156 uomini, con una età media di 82 anni; 393 i dimessi e 7 i decessi. Per quanto concerne la provenienza dei pazienti  nel 41 % dei casi l’invio è stato deciso a seguito di una visita medica in Pronto soccorso, per il 38 % dopo una visita nel presidio ospedaliero più vicino, per un 13 %  in esito ad una visita domiciliare e per un 6 % con un invio diretto da parte del medico di famiglia.  E’ evidente, già da questi primi numeri, che c’è stato un immediato, benefico effetto nel ridurre, per quanto possibile, proprio i ricoveri ospedalieri impropri. La degenza media è stata di 19 giorni, con estensioni massime fino a 30 giorni, in relazione alle condizioni cliniche del paziente. Tuttavia si è comunque garantito un elevato tasso di ricambio tra ricoverati e dimessi, con un turn-over medio che si attesta all’88 % . E dove vanno quelli che vengono dimessi? Tornano a casa nel 46 % dei casi (e questo è davvero un ottimo risultato!) oppure in Rsa (19%) o in casa di riposo (19 %), solo nel 9 % dei casi il paziente è stato trasferito in Pronto soccorso oppure (5%) in ospedale. Dunque, anche sotto questo profilo, la pregevole e attesa iniziativa sta centrando una serie di obiettivi nient’affatto banali e tali da meritare il plauso comune. Come peraltro confermato dalle segnalazioni di elogio sinora pervenute (67 %), accompagnate da un buon 22 % di suggerimenti per migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie offerte.  

Parimenti meritevole di plauso è l’altra operazione messa in campo dalla sanità regionale ovvero l’approvazione del piano di recupero delle liste di attesa con la previsione di uno stanziamento di 10 milioni di euro che serviranno a coprire i costi di circa 70 mila prestazioni aggiuntive (tra pubblico e privato accreditato), con una netta prevalenza di prestazioni ambulatoriali (circa 65 mila tra visite ed esami), a fronte di 2.500 ricoveri per interventi chirurgici e più di mille screening. Come noto, a seguito della pandemia, si è accumulato un notevole ritardo da recuperare a partire da una serie di interventi di routine che sono stati, forzatamente, rimandati nel tempo in attesa di tempi migliori. Posto che, come noto, nessuno ha la bacchetta magica e che le forze in campo sono, ahimè, piuttosto sparute e demotivate, lo sforzo fatto (finalmente, verrebbe da dire) va in ogni caso apprezzato, come va apprezzata la netta e prevalente destinazione dei fondi verso le prestazioni pubbliche (37 mila per un costo di 5,8 milioni di euro) rispetto alla scelta del privato accreditato (3,8 milioni di euro per l’acquisto di 32 mila prestazioni). E quanto ci guadagnerà il personale sanitario pubblico per queste prestazioni aggiuntive? Il medico 80 euro lordi all’ora e l’infermiere/tecnico 50. Va precisato che si tratterà di un’attività volontaria, con l’espresso obiettivo di smaltire gli arretrati, che fuoriesce dal normale lavoro straordinario. Se stringiamo la visuale solo sulla realtà giuliano-isontina l’obiettivo è quello di effettuare 212 ricoveri nel pubblico, 195 nel privato accreditato, quasi 11 mila prestazioni ambulatoriali nel pubblico e quasi tre mila nel privato accreditato, con la previsione pure di una piccola quota di assunzioni nel pubblico. Insomma, per una volta, obiettivi e finalità sono estremamente chiari però, com’è accaduto per l’ospedale di comunità, attendiamo, fiduciosi e prima di cantare vittoria, che il piano venga calato nella realtà e che le code nei vari campi dell’assistenza sanitaria più in sofferenza vengano sensibilmente ed effettivamente ridotte nella piena consapevolezza (e qui siamo, per una volta, pienamente d’accordo con l’assessore Riccardi) che “per risolvere i problemi servono scelte più strutturali, anche alla luce dell’esperienza della pandemia, che ha confermato i molti nodi da risolvere”.  

Nulla da eccepire su queste affermazioni: rimaniamo in fremente attesa della prossima puntata.

Emme Zeta

Parole chiave: Trieste