Preghiera silenziosa per il Medio Oriente, Emme Zeta: "Che in futuro l'uomo stringa le mani al proprio vicino"
C’ero anch’io domenica 5 novembre sul Molo Audace per rispondere “presente” all’appello lanciato congiuntamente dal rabbino capo, dal vescovo e dal presidente della Comunità islamica di Trieste per una preghiera “silenziosa, a gridare nel silenzio il dolore di tanti uomini e donne che piangono per le immani violenze che stanno insanguinando i popoli” nelle terre ferite del Medio Oriente.
C’ero anch’io, convintamente e nella piena condivisione del messaggio che ha accompagnato questo toccante momento “la guerra e la sofferenza e la morte di tanti uomini, donne e bambini ci lasciano sgomenti. Dio non vuole né questa, né nessuna guerra.
Oggi noi nel nome dell’unico Dio ci siamo riuniti per chiedere che venga permesso il ricongiungimento delle famiglie, che cessi la violenza delle armi, che con umanità ci si prenda cura della popolazione civile, che si riprenda il dialogo.
Noi qui riuniti vogliamo essere un segno che ci si può parlare rispettandosi e accogliendosi nella diversità di ognuno, e così chiediamo il pieno rispetto di tutti…perché tutti abbiamo la stessa dignità davanti a Dio creatore.
Dio ascolta il grido di chi piange. Dio chiede a tutti di fare un passo per cercare di comprendere il dolore dell’altro che abbiamo di fronte”. Sono, indubbiamente, parole forti che ben rappresentano quella speciale unità d’intenti interreligiosa ed interetnica che Trieste, dopo secoli di una storia tormentata e lacerante, finalmente è riuscita a raggiungere e ad esprimere, nelle sue massime espressioni religiose, anche in un frangente delicatissimo com’è quello che stiamo vivendo in esito alla terribile strage dello scorso 7 ottobre.
Devo dire che ero in buona compagnia sul Molo Audace, a partire dal sole che ha fatto capolino dopo giorni di intense mareggiate che hanno gravemente ferito il litorale cittadino per finire con le migliaia di cittadini (1.500, secondo le stime della Questura) che hanno risposto presente all’appello per la pace. Nessuna bandiera, nessun slogan, solo silenzio - interrotto unicamente dal moto ondoso del mare - per quindici intensi minuti, dopo il suono delle campane a mezzogiorno, in cui tutti i presenti, volgendo lo sguardo al mare, hanno pregato in silenzio, ciascuno nel proprio credo, per le terre martoriate del Medio Oriente.
Tra i presenti, oltre ai promotori dell’iniziativa e all’archimandrita della chiesa greco-ortodossa, una nutrita rappresentanza politico-istituzionale (ma non il Sindaco!) e tante, tante presone comuni con bambini (e qualche cagnolino) al seguito, distinguibili, in qualche caso, per i simboli religiosi: suore cattoliche, donne musulmane col velo, ebrei con la kippah.
Allo scadere del tempo, un bellissimo e sentito gesto segnala il rompete le righe, ovvero un abbraccio, profondo, tra i rappresentanti delle diverse confessioni: il rabbino e il presidente della comunità islamica, il vescovo e l’archimandrita che hanno rivolto un sommesso “grazie” alle centinaia di fedeli presenti. Servirà? Ce lo auguriamo di tutto cuore, magari non subito, magari già da domani perché, come ha rilevato don Mario Vatta, si è data testimonianza di un “silenzio possibile”, oltre a tutte le ferite sanguinanti che ci portiamo addosso “il tempo sarà utile a farle rimarginare ma dobbiamo curarcele a vicenda: rendere possibile ciò che all’uomo sembra impossibile”.
Ecco allora che, come ricordato da Akram, presidente della Comunità islamica, un imperativo si deve imporre all’attenzione, da subito, della politica internazionale, ovvero l’esigenza di tutelare “le persone innocenti e civili che soffrono da entrambe le parti ed in particolare i bambini, soprattutto: perché i bambini sono tutti uguali, non meritano di finire sotto i bombardamenti. E’ questa la sofferenza più grande, la tragedia che tocca tutti noi”. E ci pare proprio che i recentissimi spiragli di corridoi umanitari finalmente autorizzati da parte israeliana vadano esattamente nel senso auspicato perché è diventato insopportabile quel “silenzio degli innocenti” che in qualunque scenario, di terrorismo o di guerra, una mano criminale continua a causare.
Tacciano le armi – come ribadito quasi ogni giorno da Papa Francesco- e si dia, davvero, spazio al dialogo che solo può portare soluzioni durature e condivisibili per tutti i popoli. E’ impossibile? Forse sì, ma incrollabilmente dobbiamo credere che un giorno l’impossibile diventi possibile e l’uomo stringa le mani al proprio vicino, indipendentemente dal colore della pelle o dal credo religioso, conscio che chi ha di fronte è un uomo come lui, non un avversario, né tanto meno un nemico!
Emme Zeta